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  • DATA: 30-08-2020
  • LUOGO: Germania

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Germania

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Passando per Hannover… Hannah Arendt

Durante l’ultimo viaggio in giro per l’Europa ho ascoltato podcast di filosofia (quelli di Tlon su Audible) e mi è capitato di passare nei dintorni di Hannover, in Germania, città natale di una grande donna, Hannah Arendt. Dato che è stato un viaggio strano, non riesco a raccontare di una persona che ho incontrato per davvero, perché ne ho incontrate poche, quindi queste righe vanno a lei, una grande personalità del Novecento che ha influenzato col suo pensiero tanti altri pensatori fino a oggi.

La Arendt nasce nel 1906 proprio ad Hannover e dovrà lasciare a un certo punto la Germania perché ebrea. Si recherà prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove poi si stabilì. Era una donna carismatica, da giovane amava vestirsi con abiti colorati e stravaganti e, in qualunque posto si trovasse, riusciva a creare una comunità attorno a lei. Negli Anni ’20, gli anni dell’Università, incontra Martin Heidegger, altro filosofo molto amato ma anche molto criticato per la sua iniziale infatuazione nazista, e si innamoreranno nonostante lui fosse già sposato e suo professore.

 

Hannah Arendt non si è mai definita filosofa, piuttosto teorica politica, i valori della vita come relazione con l’altro, soprattutto nello spazio pubblico, del pluralismo, dell’azione, della responsabilità e dell’importanza degli esseri umani proprio in quanto tali hanno orientato il suo lavoro e il suo pensiero. Il suo “amor mundi” è un’idea potente, così come la sua visione del potere e della disobbedienza civile per arrivare a superare l’interesse personale e costruire nuove comunità. La Arendt ha ancora tanto da dire, ma lo vedremo dopo, proverò a fare qualche riflessione nelle prossime righe. 

L’amore tra Arendt e Heidegger

Hannah Arendt conosce Martin Heidegger nel 1924 e tra loro due nacque un amore fortissimo, totalizzante. Lei aveva 18 anni, lui già un Professore affermato che attraeva studenti da ogni dove. Nel 1925 Heidegger scrive ad Arendt “il demonio mi ha preso”, il contatto con lei lo sconvolge. Fu lui a rompere la loro relazione e le scrisse i motivi in una lettera in cui decide di rinunciare a lei, ha bisogno di scendere nelle sue profondità e vuole isolamento, per cui si ritira nella Foresta Nera: “preferisco starti lontano che starti vicino ma essere lontano”, le scrive lui. Tutto quello che lui osserva è finito, ogni cosa è caduca, noi moriamo, ma allo stesso tempo c’è qualcosa che non finisce mai, che permette agli enti di esistere (Rif. Essere e Tempo).

Heidegger ha bisogno di stare da solo per portare avanti la sua ricerca, mentre per la Arendt tutto è relazione, condivisione, l’azione è importante. E proprio mentre lei pensa di dedicargli la sua più grande opera, “Vita Activa”, lui aderisce alle idee naziste forse proprio in nome di un’ossessione alla purezza per cui secondo lui l’ebreo raccontava un modo di stare al mondo che andava smantellato, una metafisica che svalutava il resto del pensiero.

Anche se in seguito prenderà le distanze dal nazismo perché non incarna a pieno le sue idee – Heidegger si sforza molto nell’inventare nuove parole, nello scrivere quello che sente e quello che pensa, ma qualcosa gli sfugge sempre, ci sono cose che non si possono dire – la frattura con Arendt è ormai troppo profonda, lei è già altrove.

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L’ispirazione filosofica

Hannah Arendt si ispirerà molto a Heidegger, soprattutto pre quanto riguarda l’idea di essere umano come “deiezione” nel senso che è gettato nel mondo in modo impersonale ed è celato a sé stesso, mentre prende via via dimensione di sé tramite l’angoscia che rivela il senso di nullità dello stare al mondo. Ma mentre per lui l’uomo non vive nel tempo ma è l’esserci, la sua “ex-sistenza” essa stessa un temporalizzare delimitato dalla morte, per la Arendt la “vita” è il termine cruciale e l’azione nello spazio pubblico il vero senso dell’esistenza.

È facile scordarsi dell’umanità e della religione quando si pensa a personaggi come Eichmann. Lei chiede al New Yorker di assistere come inviata per il giornale al processo e pubblica una serie di articoli che confluiranno in quella che forse è la sua opera più conosciuta, la “Banalità del male”. I delitti della Shoà non sono solo contro gli ebrei, sono contro l’umanità e lei in quanto umana vuole comprendere come può una persona scordarsi di essere umana e compire atti disumani. Per questo è stata molto criticata, come fa a scindere dall’essere lei stessa ebrea?

banalità del male

La Banalità del Male

La Arendt ha una grossa capacità di astrazione, va al cuore delle questioni. Quando a scuola ho letto “Se questo è un uomo” di Primo Levi, sono stata malissimo in quanto ciò che lui dice è che il compito del nazismo non era solamente di giudicare gli ebrei dimenticandosi che fossero essere umani, ma facendo sì che loro stessi, nei campi di concentramento, si dimenticassero di esserlo.

Eichmann non ha infranto ordini, è stato un buon burocrate, ha svolto un compito nella catena mortuaria. Non si sentiva colpevole, piuttosto vittima perché di quel meccanismo lui era solo un tassello banale, ma se si attenta all’umanità, si attenta proprio al principio della vita. Scendendo nel quotidiano: quanto spesso nella nostra vita ci limitiamo a dire di sì o di no perché è così che ci hanno detto di fare?

Ne “Le origini del totalitarismo” la Arendt si chiede come abbiano fatto ad attecchire nazismo e fascismo. Spiega il passaggio che c’è stato da narrazione a comunicazione propria della società di massa.

Il ritorno alle radici della grecità

Nel concepire la società di massa, la Arendt riprende alcune idee del suo primo marito, Günther Anders, che fa una riflessione sulla tecnica. Ne “L’uomo è antiquato”, Anders dice che la tecnica non può esistere senza il pensiero, altrimenti ci aliena. Questo non è solo vero nella tecnica portata all’estremo nei campi di sterminio, ma anche oggi quando crediamo ciecamente nella scienza oppure affidiamo le nostre vite e la nostra intimità ai social media, spesso senza pensare cosa questo significhi in termini di tracciamento e vendita dei nostri dati.

gunther anders

La Arendt riprende anche alcune idee di Marx, soprattutto quella di alienazione dell’individuo nella società di massa che ci ha portato ad allontanarci da un tempo della vita per ritrovarci incastrati in alcuni ingranaggi. La Arendt non condivide il concetto di lavoro come valore dell’essere umano che danno Marx, Locke o Smith. Lei torna alle radici della grecità: per l’essere umano è importante l’azione nella società, nello spazio pubblico, e forse noi lo abbiamo dimenticato.

Lo Stato prima non si occupava dell’economia, ma oggi sì, ci interessa quello che lo Stato fa per noi in termini di soldi, per il beneficio economico che ne possiamo trarre. Siamo educati a prendere non a dare, mentre il concetto di Aretè greca significa “cerco di eccellere per dare qualcosa agli altri”. In Vita Activa la Arendt dice che è importante “non cascarsi addosso a vicenda”, separare lo spazio privato, intimo, da quello pubblico.

vita activa

Non cascarsi addosso

Per calare questi concetti nella realtà di oggi, nei social media avviene un atto di normalizzazione – nella stessa logica dei totalitarismi che impedivano la diversità – perché esistono gruppi e nicchie normalizzanti. Più stiamo in quel gruppo o più facciamo certe ricerche (ad es. la terra è piatta), più tenderemo a trovare gruppi, opinioni, dati che confermano le nostre credenze, non c’è possibilità di confronto (rif. Concetto di Eco Chamber).

Nicchia, razza, etnia, sono tutte generalizzazioni che tendono a eliminare l’alterità, sono le prime mosse del totalitarismo. La Arendt rimette al centro l’idea di comunità che si è persa con la società di massa, ma non indica un tipo di comunità perfetta, dice solo che dovrebbe essere pluralista, aperta. Nazismo e fascismo, inizialmente, sono stati accolti dalla popolazione, non imposti. Anche la Rivoluzione Islamica del ‘879 in Iran è stata accolta dalla popolazione. Facciamo attenzione.

Il problema con Eichmann non è tanto la sua mostruosità, quanto il fatto che non si senta responsabile (per alcune riflessioni sulla Responsabilità, clicca qui). Come si fa a compiere un’azione disumana e poi andare a casa e baciare i figli?

Domandarsi: e dopo?

Le persone “normali” come Eichmann facevano quello che facevano perché non si domandavano: come potrò vivere dopo aver fatto queste azioni? Aderivano in modo acritico a un dogma? Queste domande però te le fai anche se aderisci a un dogma, probabilmente, forse non riuscivano a immaginare un’idea di comunità, una polis in cui la relazione con l’altro non può essere troppo conflittuale, non può essere data per scontata, ma passa attraverso l’educazione al confronto e al vivere insieme.

L’unica cosa che ci salva, per Arendt, è l’Amor Mundi, che significa offrirsi gratuitamente all’altro, non basta essere intelligenti, serve avere immaginazione! Bisogna farsi venire idee, imparare a non essere indifferenti, saper fare le differenze, non aderire incondizionatamente a qualcosa.

Le idee non sono di nessuno, vengono al mondo. La “nascita è portatrice sana di impensato”, crea un nuovo spostamento nella vita, una possibilità. Quando siamo vuoti di idee e schiavi della chiacchiera siamo in pericolo! Si può imparare ad avere memoria sentendo empaticamente la condizione in cui si viveva in un certo tempo, qual era l’idea di essere umano in quel tempo, evitare di dire “si stava meglio quando si stava peggio”.

I social network

I social network sono il nostro spazio pubblico, ci sono persone distrutte dalla gogna delle shit storm. Siamo sempre disposti a distruggere una persona in base a qualcosa che ha fatto, magari anche una sola cosa per cui si traggono sulla persona conclusioni troppo facili. Per quel singolo atto, magari una performance sbagliata, quella persona perde il lavoro, viene allontanata dalla famiglia, e così via.  

La nostra è una società che vincola costantemente al giudizio non nel senso di critica kantiana o arendtiana, ma in base ai ranking, alle classifiche. Facciamo attenzione a quello che pensano gli altri perché abbiamo paura. Immaginare di essere una comunità al tempo dei social network, in un tempo in cui la cultura da scritta diventa digitale, significa non perdere l’attenzione, imparare a farsi domande, non vivere solo nell’angoscia: rispettiamo la dignità dell’altro e lui/lei di noi quando scriviamo un post? O “ci stiamo cadendo addosso a vicenda”?

Il potere non è una cosa astratta, il potere siamo tutti noi – direbbe Foucault – e ognuno di noi nelle proprie azioni incarna un’idea di mondo, un’immagine di comunità. Possiamo decidere nella nostra vita quotidiana quale idea di mondo incarnare: pluralistica, inclusiva, o l’opposto. Questa è una scelta che può compiere solo chi si fa delle domande.

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La disobbedienza

Quando le masse si danno un desiderio, un appetito, nascono i totalitarismi. Le persone che riescono a cavalcare questi appetiti manipolandole, sono i dittatori. Chi agisce politicamente (ovvero per il bene della polis) agisce in modo democratico, per il bene di tutti, soprattutto delle minoranze. Chi invece sviluppa una visione massificata ha interessi personali, non politici!

Il voto è solo la base della democrazia, la politica dovrebbe essere la capacità di esprimere la propria aretè. Cosa facciamo di eccellente che diamo agli altri? La Arendt parla di disobbedienza civile e la fa partendo dai testi dell’americano Thoreau. Il succo è: voglio vivere in una società che abbia regole che mi piacciano, altrimenti le infrango così le posso cambiare. È molto difficile per noi europei disobbedire, negli Stati Uniti sembra più ancorato questo concetto, basta guardare al recente movimento “black lives matter”.

La parità (di genere, di razza, di etnia, dei migranti) ha bisogno dell’attività di entrambe le parti! La disobbedienza civile è proprio il superamento dell’interesse personale e lo può fare solo chi ama davvero le leggi. Queste sono le premesse che ci permettono di vivere bene insieme anche se crediamo in cose diverse. L’etica nello spazio pubblico è prendersi cura, coesistere senza cascarsi addosso a vicenda. Facciamolo! Mettiamoci attenzione.

 

disobbedienza civile