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INFO

  • DATA: 12-04-2019
  • LUOGO: Milano

STATO DI PROVENIENZA

Ecuador

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La storia di Melany – Milano

La storia di Melany a Milano è una storia di “fragilità sociale”, così si chiamano quelle situazioni in cui c’è una donna con uno o più figli che non sa badare né a sé stessa né a loro e il tribunale emette un decreto per cui sono obbligate ad andare in comunità. Uno degli educatori della comunità dove faccio volontariato mi ha scritto qualche giorno fa chiedendomi se ero disponibile per accompagnare qualche mamma a teatro sabato sera.

Arrivata in comunità, Melany è salita in macchina con me. Ha un viso dolce, è di origine ecuadoriana. La sua bambina si chiama Tiffany e ha tre anni. La prima volta che le ho viste ho pensato “non mi ricorderò mai chi è Melany e chi è Tiffany”.

Avevo provato a scambiare qualche parola con Melany – la mamma – in passato. Mi aveva sempre risposto a mezza bocca, per poi abbassare lo sguardo sul cellulare e mettersi gli auricolari.

Mettiamo Tiffany – la figlia – seduta dietro e le allacciamo la cintura. È bellissima: ha un vestitino bianco con la gonna a fiori color pastello, una pelle olivastra, i capelli nerissimi lunghi fino alle spalle tenuti da un cerchietto color argento e dei sandaletti bianchi. Sorride sempre, è educata, composta, ma ha anche il suo caratterino.

Melany si siede accanto a me. “Spero ci sia uno specchietto perché devo truccarmi”, mi dice muovendo l’aletta parasole. Penso che è scomodo truccarsi in macchina, ma non le dico niente.

In auto

Metto in moto e partiamo, c’è una mezz’ora di viaggio tra la casa e il teatro. Mi scuso per la macchina un pò sporca… c’è un cofanetto porta cd proprio vicino ai piedi di Melany.

– Posso vedere che cd hai?

– Sì, certo. Sono abbastanza vecchi.

– Pink Floyd… Bob Marley… Nirvana! Sai che non conosco molta gente a cui piace la musica rock? Lo mettiamo?

– Va bene, forse è un pò graffiato, non si sentirà benissimo.

 

Durante il tragitto

Melany mi racconta di quando era piccola, avrà avuto nove anni e il padre l’ha portata a un festival di musica rock vicino Bergamo. “Poi sono arrivati anche quelli con le moto grosse, le Harley Davidson”, e lei si è fatta una foto con loro. Tutti i suoi amici la prendevano in giro quando ha pubblicato le foto su Facebook: solo a lei piace questa musica, ha preso la passione da suo padre.

È figo che ti piace il rock – mi dice.

Allora le racconto del concerto dei Foo Fighters a cui sono appena andata a Firenze e andiamo avanti a discutere di musica più o meno fino a quando arriviamo a teatro con l’album Smell like teen spirit di sottofondo. Tiffany mangia una mela sul sedile posteriore.

Al teatro

Lo spettacolo è per i bambini e fatto da bambini, una sorta di recita della parrocchia e si intitola Horror show. Melany e Tiffany sono sedute alla fila dietro, dal lato opposto al mio.

Finito lo spettacolo le mamme hanno fretta di andare. C’è Amal che è in pieno Ramadan e sta morendo di stanchezza e di fame. Melany esce a fumarsi una sigaretta. Saliamo in macchina.

Sai, il padre di Tiffany è in Spagna, a Oviedo.

Anch’io ci sono stata quando ero incinta. Mi piace la Spagna. E a te?

Melany ha diciannove anni. È rimasta incinta che ne aveva quindici.

Non sapevo ancora che ero incinta ma quando mi guardavo intorno c’erano solo donne col pancione o gente che parlava di amiche o parenti incinta. Mi sembrava una maledizione.

Poi ho fatto il test ed era tutto vero. Volevo sparire.

Già non avevo voglia di andare a scuola. Poi l’ho proprio mollata. Non è che non riuscissi è che i miei si sono separati, hanno iniziato a litigare che avevo nove anni. Però non a litigare normalmente, era sempre tutto molto violento. Quando andavo a scuola piangevo. Me lo ricordo. Poi c’erano i miei fratelli… ecco, io mi sentivo come di dover essere un’altra mamma per loro. La mia non c’era quasi mai. Per alcuni anni mio padre è proprio sparito. Melany proviene lei stessa da una storia di fragilità sociale, purtroppo. 

Le montagne russe

Melany è un fiume. Vuole raccontarmi tutta la sua vita in pochi minuti. La separazione dei suoi, la rabbia, la tristezza. Una separazione che è durata anni, non mesi. Poi cambi di case, finché è finita in una comunità con la madre e i fratelli dopo essere stati sfrattati. Una vita di traslochi, di assistenti sociali.

Io e mia madre non siamo proprio compatibili. Non ce la faremo mai a vivere insieme.

Incinta a quindici anni. Anche il suo fidanzato veniva da una situazione familiare difficile, aveva diciassette anni. Pure lui ecuadoriano. Poi un’amica di famiglia li ha invitati ad andar da lei in Spagna e lei li ha seguiti, che a casa con la madre non ci poteva stare.

Io volevo stare con lui, però ero da sola, non avevo nessuno lì. Poi mi ha fatto delle cose e me ne sono dovuta andare.

Melany quasi si vergogna. “Mi ha fatto delle cose”. Tornata in Italia, la madre non accettava il fatto che avesse lasciato il fidanzato.

Niente scuola.

È vero che sono rimasta incinta, però secondo te perché non ho ripreso la scuola in tutti questi anni? Lei non voleva, lei non voleva che facessi niente. Passavo le giornate a fissare le pareti. E anche con mia figlia: se io dicevo no, lei le diceva sì e ovviamente i bambini cosa fanno? Vanno da chi gli dice sempre di sì.

Melany è stata picchiata, per questo se ne è andata dalla Spagna. Per questo è scappata dal padre di sua figlia. Voleva tornare in Italia per stare meglio, ma è andata sempre peggio.

A un certo punto non ce la facevo più. Ho portato con me Tiffany e non siamo tornate a dormire a casa. Andavo dalla mia migliore amica: lei c’è sempre stata, sempre. È l’unica persona che ho. Anche sua mamma mi ha aiutata, preparava la colazione a Tiffany, potevamo dormire tranquille…

La denuncia

Poi la madre l’ha denunciata perché sia lei che Tiffany erano minorenni e non erano tornate a casa e allora sono arrivati gli assistenti sociali, poi il giudice: “chiara storia di fragilità sociale, in comunità”, così le hanno detto.

Il decreto ci ha messo un sacco di tempo ad arrivare. Io dicevo agli assistenti sociali “però se avete detto che devo andare in comunità, fatemi andare subito!”. Stavo troppo male.

La vita in comunità

Melany è in comunità da gennaio, siamo a giugno.

Quando sono arrivata non riuscivo neanche ad abbracciare mia figlia – guarda Tiffany semi addormentata sul sedile posteriore. Il direttore della comunità e le educatrici mi dicevano: “sei dentro a un guscio Melany”. Io non riuscivo a parlare, non riuscivo a fare niente. Poi sono iniziati i colloqui mediati dagli assistenti sociali: prima lei, Tiffany e sua madre, poi solo lei e sua madre. Non riuscivo neanche a guardarla in faccia mia madre all’inizio.

Il futuro

Continua a parlare Melany, io guido ma cerco di guardarla negli occhi ogni tanto. Poi è arrivato il momento di chiedere scusa. Ce l’ho fatta a chiederle scusa. Anch’io lo so che non parlavo, che non è facile capirmi. È così difficile perdonare. Certo è sempre meglio stare in una casa che in una comunità, però la comunità mi ha aiutato. Adesso abbraccio mia figlia, siamo come ci vedi, molto attaccate. Credo che Tiffany diventerà qualcuno: sai, anche quando è con gli altri bambini tutti la ascoltano, ha carattere. Io se finisco l’alberghiero voglio fare l’hostess, voglio vedere il mondo! Quando ero piccola sognavo di pilotare gli aerei.

Arrivate a casa ci salutiamo con un veloce abbraccio. Grazie Melany per avermi confidato la tua storia. Grazie Milano per averci fatto incontrare. Oggi Melany vive con sua figlia in un appartamento tutto per loro.