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INFO

  • DATA: 07-03-2021
  • LUOGO: Seul

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Sud Corea

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Prove di comunicazione:quando il vocabolario è più complesso delle relazioni

Alessandra da Seul, Sud Corea

C’eravamo lasciati nel post precedente con la nascita di una coppia in seguito a una serie di rituali tipici della fase di dating in Corea. La mia curiosità verso le diverse forme di corteggiamento è scaturita da un mix di osservazione e racconti di esperienze dirette di amici; tuttavia, l’interesse per le relazioni umane non si è fermato qui, ma si è esteso ad altri ambienti. Mi affascina, infatti, comprendere i meccanismi che guidano e regolano le interazioni, ancora di più se mi costringe a scavare nel background culturale per trovarne le origini.

Ti presento Oppa

A distanza troppo ravvicinata nei mezzi pubblici o in TV mi è capitato spesso di sentire una ragazza rivolgersi al suo compagno con il termine “oppa”. Per mesi ho pensato che significasse qualcosa come “tesoro” per capire di essere totalmente fuori strada durante la lezione di lingua coreana sul tema “famiglia”. Infatti, oppa si traduce in italiano come “fratello maggiore”. Immaginerete, quindi, la mia confusione di fronte a questa conoscenza appena acquisita in contrasto con le immagini che avevo in testa. Certamente non avrei mai definito fratelli e sorelle né le coppie schiacciate contro di me in metropolitana né quelle in TV. Timidamente ho confessato il mio dubbio alla mia insegnante, pensando a uno scherzetto del mio pessimo udito e che si trattasse di due parole soltanto simili. E invece no. Questo evento è stato il deus ex machina per l’inizio di un nuovo viaggio attraverso le relazioni.

La differenza d’età come generatore di un ricco vocabolario

In Corea l’età gioca un ruolo decisivo nei meccanismi della comunicazione. Non è di certo sorprendente – e penso sia comune a qualsiasi cultura – che l’età sia alla base della gerarchia sociale. Qui in Corea, però, è un tema sensibile che regola fortemente le interazioni. Eredità della cultura confuciana, la maniera di rivolgersi al proprio interlocutore è un tema sensibile come l’importanza del legame di sangue. Diverse sono le forme di esprimersi in funzione della parentela, generazione e tipologia di relazione in generale col nostro interlocutore. A cambiare non sono solo i suffissi verbali e nominali, ma il vocabolario stesso, a volte anche in funzione della prospettiva maschile o femminile.

Due parole sembra non bastino…

Un esempio è il modo più semplice per capire queste differenze. Giovanni ha un fratello maggiore, Alberto, una sorella maggiore, Anna, ma minore di Alberto, e Luisa la più giovane tra tutti. Alberto è quindi il fratello maggiore di Giovanni e anche delle due sorelle. Eppure, Giovanni si rivolgerà a lui chiamandolo hyung mentre le due sorelle oppa. Anna è sorella maggiore di Giovanni e di Luisa. Eppure, Giovanni la chiamerà noona, mentre Luisa unnie. In pratica, il termine che descrive la relazione tra fratelli e sorelle cambia in funzione dell’età e del sesso nella direzione minore → maggiore. Nella direzione opposta – maggiore → minore – ci si rivolge all’interlocutore chiamandolo per nome.

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…ma troppe parole sembra non servano

Lo stesso approccio è applicato ad altri gradi di parentela ma spesso ricondotti a quelli appena citati con lo scopo di identificare la relazione generazionale più che di parentela. Apparentemente, le origini di questo meccanismo risalgono all’organizzazione del territorio intorno a villaggi di fattori dove era comune per parenti lontani in grado vivere vicini e incontrarsi molto spesso. Per questo chiamare un parente lontano in grado oppa, unnie, hyung o noona significava accorciare le distanze e sentirl* vicin* come un fratello o una sorella. Ci sono anche casi più complessi – che non andrò a spiegare stavolta – in cui è chiaro come non si tratti di “generazione” come gruppo di età ma genealogia.

Voglia d’informalità

Cos’è che tutta questa spiegazione ha a che fare con il termine “oppa” usato dalla ragazza nella coppia? Penso sia capitato a ognuno di noi di non avere nessun legame emozionale con qualcuno cui siamo legati per parentela, ma con cui non abbiamo condiviso esperienze rilevanti. Nella stessa maniera, sono certa che chiunque abbia qualcuno al di fuori dei legami di sangue cui si senta estremamente vicino. Molti coreani usano rivolgersi a queste persone – amici di vecchia data e compagni – con parole come oppa, unnie, hyung e noona a significare la loro intenzione di essere informali come farebbero con fratelli e sorelle. Quest’approccio assume un significato ancora più forte in una società in cui la formalità è richiesta, non solo a lavoro.  Ci sono anche casi in cui gli stessi termini si usano con persone conosciute da poco ma con cui ci si sente positivamente connessi da subito. Quest’approccio tipico dei giovani è, però, difficilmente adottato da gente in età più adulta.

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E a lavoro?

In questo caso il modello comunicativo è fortemente regolato dalla relazione gerarchica tra due individui imposta dalla funzione non solo dall’età. Infatti, ci si rivolge a un collega richiamando la funzione invece del nome o del titolo di studio. A ogni funzione si unisce il suffisso onorifico –nim. Ad esempio, se voglio rivolgermi al mio collega Francesco Rossi responsabile delle risorse umane, non lo chiamerò né Sig. Rossi, né Dr. Rossi, né Francesco ma “responsabile delle risorse umane-nim”. Questo è valido sia per una conversazione lavorativa, che per un invito a pranzo. E se si va a cena dopo lavoro? Beh, è il più vecchio a pagare e il più giovane a dover mandare giù tanto soju quanto il più vecchio gliene versa.

Puoi vedere le mie foto su flickr cliccando qui.